sabato 14 maggio 2016

Le reliquie degli apostoli Filippo e Giacomo: tra devozione e scienza

Un pool di esperti sta esaminando le reliquie dei santi Filippo e Giacomo, nella consapevolezza di avere in mano molti più strumenti rispetto all’ultima ricognizione, effettuata nel 1879, quando gli esami erano soprattutto a carattere visivo.
Con oltre cento anni, la tecnologia si è enormemente sviluppata, tanto che a quel tempo sarebbe sembrata fantascienza poter pensare a degli esami capaci di offrire elementi di dettaglio sui resti dei due apostoli, conservati in un’urna nella cripta della Basilica dei Santi Apostoli.
Al clima solenne del giorno della ricognizione, il 5 aprile, con le preghiere, le litanie dei santi e la processione che a lume di candela ha accompagnato l’urna dal luogo di sepoltura al vicino altare nella cripta, per l’apertura e la ricognizione del contenuto, sta seguendo la fase più scientifica, caratterizzata da camici bianchi, lenti di ingrandimento, microscopi, apparecchiature all’avanguardia.


Quei contenitori, con ciò che rimane dei due apostoli, sono stati riportati alla luce dopo 137 anni di sepoltura, durante una cerimonia caratterizzata dalla riservatezza e dalla rinnovata emozione di essere a contatto con i resti mortali di due seguaci di Gesù, vissuti nel I secolo d.C., entrambi martirizzati.

Tra i presenti alla ricognizione anche il professor Nazareno Gabrielli, già dirigente del Gabinetto di ricerche scientifiche dei Musei Vaticani, che sta coordinando gli esami sulle reliquie, insieme ad alcuni membri del comitato scientifico per lo studio dei reperti.
Un esperto nel settore, per decenni impegnato nella conservazione delle opere d’arte vaticane, una professione-passione alla quale, in modo imprevisto, si aggiunse anni fa quella del trattamento per la conservazione dei corpi di papi, beati e santi, in Italia e nel mondo.

Tutto partì da una richiesta dei frati di Gubbio per un intervento sui resti di sant’Ubaldo vescovo. Da quel momento, sotto le sue mani sono passati i corpi di santa Francesca Cabrini, del beato Pier Giorgio Frassati, dei papi Pio IX e Giovanni XXIII, di san Pio da Pietrelcina, del beato don Carlo Gnocchi, di santa Chiara di Assisi, di san Giovanni della Croce, dei beati coniugi Beltrame Quattrocchi e di tanti altri.
Il professor Gabrielli lo ritroviamo in camice bianco, in una stanza al quarto piano del convento dei Santi Apostoli, attiguo alla basilica, che sta ospitando il laboratorio di analisi sulle reliquie riportate alla luce.
Con il professor Gabrielli, in questa fase delle analisi, la dottoressa Rosa Boano

dell’Università di Torino, impegnata in una meticolosa osservazione di ogni reperto, compresi i più piccoli frammenti.

Qui sono stati portati i contenitori presenti nella cassa - a sua volta inserita in una di legno sulla quale erano stati apposti i sigilli dopo la precedente ricognizione -, assieme al piede di san Filippo e al femore di san Giacomo, conservati in due grossi reliquiari e sempre esposti alla venerazione dei fedeli.
Su un tavolo vengono deposti, di volta in volta, i resti da osservare, confrontare, analizzare, attorno al quale si stanno alternando esperti di più settori.

Dunque, professore, in quei vasi estratti dall’urna, cosa era contenuto con precisione?
In alcuni vasi era presente polvere cineraria, polvere di tessuti mummificati, in alcuni filamenti e pezzetti dei quali è possibile ricostruire la trama, come del resto già si evidenziava nella ricognizione del 1879. E ancora ossa, una scapola e la parte centrale di una tibia, assieme a diversi ossicini minuti dei quali stiamo facendo le verifiche per capire se appartengano alle ossa già catalogate.

Quale è il metodo di lavoro che avete adottato per l’analisi di questi resti?
La prima operazione è stata quella di una prima ricognizione e separazione, condotta con un anatomopatologo, mediante una osservazione molto accurata dei resti rinvenuti nell’urna, tutti fotografati e catalogati. Quella che si definisce documentazione preliminare, nel senso archeologico. È quindi la volta di un antropologo cui spetta l’osservazione delle ossa, la consistenza, le misure, la verifica se debbano essere attribuite a un soggetto di sesso maschile o femminile, adulto o bambino, e il riconoscimento di eventuali frammenti ossei che si siano staccati. Ci sono poi prelievi eseguiti per il riconoscimento dei tessuti, attraverso le tecniche della microscopia elettronica.

C’è qualche anticipazione riguardo agli esami finora eseguiti?
In questa fase stiamo riconducendo i frammenti alle ossa di appartenenza, svolgendo quelle verifiche di cui parlavo. Abbiamo notato anche come alcune ossa siano state recise di netto, al momento della morte, segno evidente del martirio subito. Questo si riconosce dal fatto che quando si tratta di rotture successive, ad esempio per il prelievo di reliquie, le ossa si presentano solitamente sfrangiate.
C’è poi da anticipare che sono stati trovati anche dei resti, di piccole dimensioni, sicuramente riconducibili a un bambino. Una cosa assai frequente in questi casi, spesso le tombe erano utilizzate più volte e non era raro che, al momento del prelievo delle ossa, ce ne finisse qualcuna estranea.
Gli esami visivi e quelli più approfonditi, servono proprio a questo, a chiarire la presenza di eventuali reperti estranei.

Tornando agli esami cui sono sottoposte le reliquie, qual è il contributo concreto di cui può usufruire questa ricognizione, rispetto a quella del 1879?
Il primo aiuto concreto è sicuramente nel permettere di identificare e raggruppare tutte le ossa appartenute a uno stesso individuo, trattandosi di esami che vanno ben oltre l’analisi visiva. Mi riferisco in particolare alle analisi sugli elementi paleo-nutrizionali, ovvero quelli che si fissano nelle ossa a seconda della dieta seguita. Questa indagine è importantissima e prende in esame elementi come calcio, stronzio, bario, zinco, magnesio e rame, dando utilissime indicazioni.
Peraltro si tratta di un esame non distruttivo, svolto con due piccoli apparecchi, un generatore di raggi e un rilevatore che capta la presenza degli elementi eccitati attraverso i raggi X.
E poi, per concludere, ci sono altri esami oggi consentiti dalle tecnologie, come il DNA e il Carbonio-14.

Mi sembra pure di capire che, in queste ricognizioni, ha un peso decisamente rilevante l’intesa tra gli esperti, anche per garantire la massima tutela delle reliquie.
Questo indubbiamente, l’affiatamento è una carta vincente, la perfetta intesa su come trattare resti che richiedono il massimo rispetto, costituendo un vero e proprio patrimonio a carattere storico e, per i credenti, anche devozionale. L’unicità di questi resti obbliga a operare nella consapevolezza che vanno preservati e che è richiesta la massima attenzione anche sugli esami cui sottoporli. Una volta concluse le analisi, daremo a queste reliquie una sistemazione sicuramente migliore di quella precedente. Basti pensare che le ossa erano conservate nei contenitori in posizione verticale (nella foto), un grosso errore che potrebbe comprometterne la conservazione. Per questo adesso verranno disposte orizzontalmente, perché possano testimoniare, ancora per tanto tempo, la vita di questi due apostoli.




Articolo pubblicato da San Bonaventura informa - aprile 2016 

Foto: ©ElisabettaLoIacono

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