sabato 23 luglio 2016

IL RUOLO DEI MEZZI DI INFORMAZIONE NELL'ERA DELLA FOLLIA

I recenti attentati terroristici riconducibili all'Isis al pari dei gesti di squilibrati, come appare essere la sparatoria a Monaco, chiedono un ripensamento non solo su come garantire la sicurezza nei nostri luoghi della quotidianità ma anche sulla funzione dei mezzi di informazione.

Non si tratta soltanto di una questione di sicurezza da gestire sullo scacchiere delle città e dell'intelligence, non si tratta solo di fare i conti con le nostre paure manifestate o represse, semmai bisogna ripensare anche una presenza fondamentale nella nostra vita qual è quella dell'informazione, della produzione e diffusione delle notizie.

La considerazione si impone con forza, anche alla luce dell'attentato a Monaco e al fatto che l'omicida fosse uno squilibrato.

Considerato che il caso non è certo isolato a questo giovane ma che, purtroppo, di soggetti con problemi psichici, perlomeno con identità deboli, in giro per le nostre città ce ne sono numerosi, sarebbe forse il caso di cominciare a limitare le vetrine delle loro scellerate gesta, anche per arginare possibili emulazioni. 
Un po' come accade nelle partite di calcio con le invasioni di campo, quando le telecamere non mostrano quanto succede, proprio per non dare loro spazio.

L'attentatore di Orlando 
Non offrire visibilità a folli - disturbati - esaltati - terroristi - aspiranti tali - disperati in cerca di un momento di "gloria", potrebbe essere un piccolo ma praticabile deterrente da parte dei mezzi di informazione, emittenti televisive in primis.
Un soggetto debole, alla ricerca di un senso per la propria vita, un fanatico, un ribelle verso il mondo o un particolare tipo di società, può trovare un incentivo e una esaltazione in queste spasmodiche attenzioni da parte dei mezzi di informazione. 

Si dirà che la tensione per possibili attacchi terroristici tiene alto il livello di guardia nelle nostre indifese e indifendibili città, anche da parte dei mezzi di informazione, ma certe dirette televisive, come quelle cui abbiamo assistito dai minuti successivi alla sparatoria al centro commerciale di Monaco, sono finestre forzatamente spalancate per permettere ai curiosi di rimanere affacciati sull'evento.
L'informazione ha il proprio motivo di essere nel racconto dei fatti, ipotesi e illazioni devono stare su un altro piano, perlomeno essere conseguenti alla narrazione degli avvenimenti.

Nella fattispecie, per la sparatoria a Monaco, la notizia era l'attacco e il numero dei morti mentre per ore si è discusso di terrorismo, di attentatori inesistenti, di situazioni risultate poi non rispondenti alla realtà.
C'è da chiedersi se ha senso tenere aperte dirette no-stop, basandosi solo su ipotesi e su notizie frammentarie raccolte sui social network (di per sé difficilmente verificabili) o se non sarebbe il caso di aprire il flusso informativo quando ci sono notizie certe.

Attingendo ai ricordi, dinanzi a gravi fatti di cronaca, mi tornano alla mente le edizioni straordinarie dei telegiornali che annunciavano i fatti, così come si presentavano, dando appuntamento a successive edizioni, non appena fossero disponibili aggiornamenti.
La paura di rimanere in seconda fila nella corsa e rincorsa di notizie, conduce oggi a presidiare il proprio spazio informativo, ad esserci comunque, a sostenere ore di dirette puntellate da chiacchiere.


Fare un passo indietro non rappresenterebbe certo una ritirata dinanzi al dovere di informazione, piuttosto sarebbe la garanzia di testate giornalistiche che svolgono seriamente il proprio compito: raccogliere le notizie, verificarle e allora, ma solo allora, proporle al pubblico offrendo, a quel punto, anche i commenti e le valutazioni del caso.  
Di certo ci si sottrarrebbe al costante rischio di cedere alla disinformazione e spettacolarizzazione, facendone guadagnare la professione, la professionalità e la certezza dell'informazione.


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